TUBAGE: UNA TECNICA PERDUTA NEL TEMPO E RECUPERATA.

‘È la prima volta che vedo questo tipo di lavorazione’ indugiai tra me nell’osservare, con contenuto stupore, la vetrata a émail tubé di una porta di una villa liberty. Era la metà degli anni Ottanta e mi trovavo nell’immediata periferia di Treviso.
Poi, la proprietà mi mostrò il danno. La vetrata presentava diversi rettangoli decorati e poi legati assieme a piombo ma era parzialmente rotta. Nel momento di silenzio che seguì l’immediata valutazione della difficoltà del compito di ripristino che mi veniva richiesto, mi resi conto che quella tecnica di lavorazione rappresentava davvero una novità per me; e questo pur non essendo a digiuno di smalti cotti in forno e cordoncini di graniglia, i quali facevano parte già da tempo della mia valigetta degli attrezzi del mestiere di mastro vetraio.
La proprietà pendeva dalle mie labbra per sapere se sarei stato in grado di intervenire sulla vetrata.
‘Ho bisogno di tempo’ pensai e mi congedai con due pezzi di vetro di quell’opera temporaneamente deturpata per iniziare le mie ricerche.

UNA TECNICA PERDUTA

Vetrata danneggiata e ripristinata nei primi anni Novanta

L’émeil tubé, o tubage, era una tecnica francese del passato della quale sopravvivevano mirabili esempi ma i cui segreti di lavorazione sembravano essersi definitivamente persi. Sapevo che era stata messa a punto per ovviare ai costi di realizzazione delle vetrate e che consisteva nel dipingere con una pasta, estrusa da una siringa a mo’ di pasticceria, che bordava le forme entro le quali veniva applicato lo smalto trasparente e che prevedeva poi la cottura in forno. In Italia, la ditta Corvaja e Bazzi di Milano ne era stata la principale produttrice.

Oltre alla ricerca immediata di informazioni, andai da Ottavio Furlanetto e Luciano Toniolo, due amici. Loro sì che, data l’esperienza in campo di cottura degli smalti per ceramica e vetro, potevano saperne di più. E così fu.
“Sembrerebbe un frammento di vetrata a émeil tubé” disse subito Ottavio.
“Riconoscerle sì, ma farle…” si affrettò ad aggiungere Luciano.
In effetti, venni subito a sapere che nessuno di loro ne aveva mai realizzate.
“Il tuo problema è trovare i materiali” disse Ottavio.
I componenti originali, con i quali venivano create queste vetrate agli inizi del Novecento, erano stati, infatti, per lo più tolti dal mercato a causa del loro alto impatto ambientale in fase di cottura e della loro elevata tossicità.
‘Servirebbe qualcosa che possa sostituirli. Ma cosa…’ pensai.
“Devi cominciare a fare delle prove” dissero i due prima di salutarci.
Mi diressi immediatamente in laboratorio. Mi misi all’opera ma il tempo era tiranno e sapevo di non averne molto. Provai a trovare anche un sistema di applicazione del cordoncino in rilievo che mi permettesse di arginare gli smalti all’interno di esso. Dopo giorni e giorni di sperimentazioni e ricerche fui costretto a rinunciare all’incarico di ripristino della vetrata. Avevo bisogno di più tempo per fare un lavoro all’altezza delle – soprattutto mie – aspettative.

UNA VETRATA DA TOGLIERE IL FIATO

Dettaglio della vetrata con rose rampicanti

Passarono gli anni – e non furono neanche troppi – quando, agli inizi degli anni Novanta, mi si presentò una nuova occasione.
Uscii per un rilievo in un’altra villa liberty di Treviso e la richiesta era quella di ripristinare un’altra vetrata artistica. Quando mi trovai dinnanzi a quell’opera d’arte mi venne un tuffo al cuore. La vetrata occupava, in altezza, tutta la tromba delle scale ed era meravigliosamente lavorata a émeil tubé con rose rampicanti, anfore, pavoni e cieli color indaco. In tre punti però, era danneggiata: c’erano vetri rotti o mancanti.
“Un capolavoro d’inizio secolo” sussurrai.
I dubbi sulle possibilità di riuscita fecero subito capolino nella mia mente ma seppi sottrarmi alla loro influenza e accettai l’incarico. L’avrei portato a termine a qualunque costo.
Rientrato in laboratorio mi misi alla ricerca dei materiali: smalti, colori, grisaglie, ossidi, graniglie, medium e fondenti. Mi appoggiai alla Johnson&Matthey per la fornitura dei componenti e iniziai le prove.
Tre mesi dopo, riuscii a portare alla luce quei tre pezzi di vetro che avrebbero potuto donare nuovo splendore alla vetrata. Li installammo e il cliente fu soddisfatto ma, per me, mancava ancora qualcosa.
I materiali scelti, le finiture raggiunte e l’eventuale possibilità di riprodurre i pezzi non mi convincevano del tutto.

I SOPRALUCE 

Vetrata realizzata a émeil tubé nei primi anni Duemila

Una nuova possibilità di provare bussò alla mia porta. Un architetto mi contattò, sul finire degli anni Novanta, chiedendomi di realizzare la vetrata di una parete divisoria con struttura lignea destinata alla sua villa veneta. Infatti, lei stessa disegnò i soggetti a colori della vetrata a grandezza reale, i cosiddetti cartoni.
‘Questa è una nuova occasione per la nuova-vecchia tecnica’ pensai quando li vidi.
“Li realizzeremo con piacere!” risposi senza indugio alla richiesta.
Al mio fianco potevo contare sulla collaborazione di Sabrina Bianco, pittrice e insostituibile artista.
Iniziammo le prove colore per avvicinarci il più possibile al soggetto disegnato e dipinto dalla committente. Ci vollero giorni e giorni per testare i colori, le sfumature e le mescolanze. Due mesi dopo, i campioni erano sotto l’occhio critico della proprietaria-architetto che li approvò.
Passammo alla fase di realizzazione dei quattro sopraluce che componevano la parte alta della struttura divisoria. Era appena iniziata la primavera del 2001.
“Vittorio, è terminato l’ossido” mi dissero, un giorno, dal laboratorio.
Senza troppi pensieri mi affrettai a riordinarlo per continuare l’opera ma, quando arrivò, ci accorgemmo subito che la nuova fornitura di ossido metallico, che serviva ad arginare lo smalto, era completamente diversa dalla precedente in uso.
Dovemmo interromperci e ci vollero tre mesi di estenuanti ricerche prima di trovare un ossido nella forma più idonea a proseguire.
Nel gennaio 2002, dopo le diverse fasi di cottura della graniglia e degli smalti e di legatura dei pezzi, portammo a termine la commessa.
Oggi, l’estrema difficoltà di dipingere e di controllare la cottura nonché l’impossibilità di reperire il materiale pittorico rendono sempre più difficile la composizione chimica della pasta impiegata per la realizzazione dell’émail tubé. Il nostro laboratorio conduce comunque diverse sperimentazioni al fine di mantenere il più possibile in vita questa tecnica.

 

Tubage window details

“Chiunque fosse interessato a uno scambio culturale sull’argomento può farlo contattandomi. Sarebbe un peccato che questa forma d’arte e di artigianato si perdesse senza altre possibilità di essere recuperata.”
Vittorio Benvenuto