Chandelier, London, details

CHANDELIER: UN PROGETTO MAI REALIZZATO PRIMA CHE PRENDE VITA.

Quando arrivò la richiesta, accettai senza nemmeno vederne i dettagli.
Era il 2013 e la maison di moda Fendi, della quale eravamo già fornitori, mi chiedeva un’opera che, fino a quel momento, non era mai stata realizzata.
Si trattava di uno chandelier sospeso, alto quasi sette metri e destinato alla tromba delle scale della boutique parigina di Avenue Montaigne. Era un’opera colossale, sì, ma tale era anche la mia voglia di cimentarmi con una commessa innovativa.

IL VETRO CHE FLUTTUA NELL’ARIA

“I like the glass floating in the air” mi disse Gwenael Nicolas. E, il vetro che sembra galleggiare nell’aria si trasformò ben presto nel leitmotiv di tutto il lavoro che facemmo.
Gwenael Nicolas, questo il nome prestigioso del fondatore, presidente e art director dello Studio Curiosity di Tokio, sarebbe stato il nostro interlocutore, incaricato dalla maison, per il progetto.
Il desiderio era quello di ottenere uno chandelier in cui ogni vetro fosse indipendente e sospeso attraverso fili invisibili che lo trasformassero in uno scroscio d’acqua multicolore congelato in un istante perfetto.


Non si trattava solo di un’opera vetraria ma anche ingegneristica, in quanto le notevoli dimensioni, l’esigenza di inserire al suo interno il sistema di illuminazione e, in definitiva, la previsione necessaria di una sezione mobile che consentisse le opere di manutenzione, lo rendevano complesso e implicavano il lavoro di differenti professionalità.
Dapprima contattai Paolo Donà, mastro vetraio di Murano che condivideva con me la passione per le sfide, e Ivan Mazzero che ci affiancò, poi, dal punto di vista ingegneristico.
La vera sfida, infatti, era rappresentata dal fatto che le lamelle di vetro che avrebbero composto lo chandelier, come il piumaggio di un pappagallo, dovevano rimanere sospese in aria senza che la struttura di sostegno si vedesse.
Iniziammo a fare delle prove per creare dei campioni da presentare a Gwenael.
Il primo tentativo fu bocciato e, a questo, ne seguirono altri: ben cinque. Nei tentativi di concretizzazione di quell’idea, però, le critiche di Gwenael furono sempre costruttive. Remavamo tutti nella stessa direzione.
Non fu semplice trovare il modo di appendere 3900 vetri con 6500 fori, utilizzando 6,5 km di filo di nylon con altrettanti fermi, e creare anche l’esile struttura portante atta a sostenere i 380 kg dello chandelier.

IL PROTOTIPO GIUSTO

Giungemmo al quinto prototipo di una sezione in scala 1:1 alta 1 metro che presentammo presso l’Istituto Europeo di Design di Milano e che rappresentava uno spicchio della parte alta dell’opera. Nel cercare il sistema invisibile per appendere le lingue di vetro eravamo passati dal filo di nylon cucito e fissato con viti in plastica per arrivare, infine, al filo di nylon non più cucito ma che sosteneva ogni singolo vetro.
Questo prototipo si rivelò essere quello giusto e così passammo all’ingegnerizzazione dell’opera.
Questa doveva comprendere il sistema di illuminazione, creato da un lighting designer di New York, il quale prevedeva che le luci potessero entrare dall’alto all’interno dello chandelier e che una parte motorizzata permettesse la manutenzione.
Realizzammo un motore montato su un albero rotante che faceva scendere tutta la coppa superiore dello chandelier su sé stessa per un metro, a cannocchiale, permettendone l’accesso.
Era arrivato il momento di produrre le lingue di vetro. Il designer desiderava che il colore fosse sfumato ma con una sfumatura assolutamente particolare e di difficile esecuzione.
Paolo Donà, esperto di produzione di vetri di Murano tirati a mano, creò e suggerì al maestro vetraio muranese, il metodo per realizzarla.
La struttura invisibile che creammo in via definitiva prevedeva di attaccare le lingue di vetro con un filo sopra e uno sotto nei punti in cui il disegno dell’opera curvava e con un filo solo sopra nei punti perpendicolari al suolo. Creammo anche una sagoma tridimensionale lunga quasi 7 metri per riprodurre, in laboratorio, il montaggio e il suo processo.
La fase del progetto che iniziò con i vari prototipi e terminò con la prova di assemblaggio durò tre mesi.
Tutta la struttura montante era trasparente, eccetto un piccolo tubicino di acciaio. Il policarbonato trasparente conteneva le luci che scendevano dall’alto verso il basso e i settori di fissaggio dei fili di nylon posizionati a distanza di un metro l’uno dall’altro.

IL VIAGGIO A PARIGI

Ci rimaneva solo di andare a Parigi per montare l’opera definitiva. Con una squadra di quattro persone partimmo e iniziammo a installare lo chandelier dal basso verso l’alto in modo tale che i vetri si sormontassero leggermente l’uno sull’altro. Fu un mese di duro e ininterrotto lavoro. Ci furono delle difficoltà, sì, ma le superammo e l’amministratore delegato della maison e Gwenael Nicolas vennero personalmente a farci i complimenti per ciò che avevamo realizzato.
Fu un lavoro complesso e – alla maniera di Benvenuto – costellato di prove e tentativi. Un’impresa premiata, oltre che dall’orgoglio di aver creato un’opera unica, dal riconoscimento della maison.
Nel 2014 un altro nostro chandelier dello stesso tipo ma più grande, alto 10 metri e con soluzioni ingegneristiche ancor più complesse, arricchiva The Flagship Store della maison nella londinese New Bond Street.

Chandelier, Paris, under construction

“La sfida artistica e costruttiva è stata molto impegnativa ma sono queste sfide che alimentano quotidianamente la nostra passione per la creazione di qualcosa che prima trovava posto solo nell’immaginazione.”
Vittorio Benvenuto